“La regola del gioco. Comunicare senza fare danni” è un saggio sulla società e sulla cultura dei social media contemporanea.
L’autore con abilità comincia partendo dal primo manuale di comunicazione scritto niente meno che dal visir egizio Ptahhotep circa 3300 anni fa. Ventura descrive con precisione come la comunicazione nella storia abbia sempre avuto una grande importanza fino alla quasi totale disintermediata democratizzazione dei social network.
Per chi come me ha vissuto l’esplosione dei nuovi media da dentro un blog su Splinder o una galleria su Flickr, molte cose sono risapute ma sono scritte in maniera talmente approfondita e ricca di esempi che è stato un piacere rileggerle.
I quindici minuti di notorietà che chiunque scriva sui social inconsciamente cerca, sono diventati una specie di danza della pioggia per le “shit-storm” che a furia pubblicare prima o poi chiunque rischia di causare.
Ho trovato poi particolarmente convincente la spiegazione del perché molte minoranze possano sentirsi offese e triggerate da espressioni, atteggiamenti o prodotti che fino a qualche anno fa passavano inosservati.
“Stai parlando in arabo” è effettivamente offensivo per chi è madrelingua araba come per me lo è sempre stato sentire “Cosa ci fai a Milano, la Sicilia e così bella e si mangia così bene!“. Oppure la detestabile moda anglofona di chiamare gli ex dipendenti di qualche grande impresa “mafia”. Mi piacerebbe chiedere ai giornalisti che parlano della “PayPal Mafia” se sarebbero felici di trovare la propria auto incendiata come incentivo commerciale all’acquisto di una Tesla.
Le conclusioni di Ventura sono tanto condivisibili quanto difficili da seguire.
La carità comunicativa quando si leggono contenuti discutibili e la neutralizzazione preventiva delle criticità si scontrano pesantemente con la velocità, la superficialità e l’impulsività che instillano i social media.
Chi ha il bagaglio culturale per capire di cosa stiamo parlando ha il dovere di fare la sua parte scrivendo bene e soprattutto ignorando influenzatori, polemiche e polemizzatori.
Degno di nota infine il glossario in cui ho trovato termini sconosciuti che eleveranno la mia coscienza comunicativa, ma che mi consentiranno anche di fare il l’arrogante fenomeno con gli interlocutori che lo meriteranno.
Questo è un libro da leggere se siete professionisti della comunicazione e volete rimanere aggiornati almeno per i prossimi dodici mesi su quello che succede sui social media. Ad esempio servirà sicuramente un nuovo paragrafo dedicato allo scandalo dei pandori oppure al poco comunicativamente caritatevole caso della ristoratrice del lodigiano.
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